Viaggio nella Riviera Maya
- Tom Garland
- 27 giu 2018
- Tempo di lettura: 45 min
Aggiornamento: 1 set 2018
Se vi interessa una guida su come muoversi attraverso le strade del Messico tropicale, ecco il racconto del mio viaggio nella splendida terra che fu culla della civiltà Maya.

Viaggio nella Riviera Maya
E’ da molto che non scrivo, e intendo che non scrivo in generale, non di viaggi in blog di viaggi o a recensire luoghi in siti di viaggi. Beh quel che voglio dire è che con questo sunto della mia avventura in Yucatan e nella riviera Maya inizio per la prima volta a cimentarmi nella scrittura di guide per profani. Perché lo faccio? Perché sono stato, e sono tuttora in gran parte, profano anch’io e perché ogni volta che voglio partire per una meta esotica vado a cercarmi recensioni, foto, luoghi e paesaggi su google maps, ma specialmente racconti, racconti di viaggio. Una racconto è quel qualcosa in più che ti da sicurezza su come organizzarti, su cosa portare, ma anche sicurezza su quel che ti aspetta una volta partito. Non fraintendetemi, non vedo la cosa come un grosso mega spoiler su ciò che verrà per poi ritrovarsi a non riuscire più a provare meraviglia di fronte a cose già viste nel web; ne ho la prova e ve lo spiegherò più avanti. No, non c’è questo pericolo. Non può esserci perché ciò che si vede con i propri occhi e l’aria che si respira in quei luoghi colmano dei vuoti interiori donando non solo energia nuova, ma anche dando un senso alla propria vita, ferma il più delle volte dentro un ufficio, davanti uno schermo a sognare il mare. Inoltre una guida di questo tipo, come quella che sto per presentarvi, non può e non deve essere un vincolo. Deve essere invece una mappa che segna con una grossa X un punto preciso che vale la pena raggiungere, ma per arrivarci si deve uscire di strada imbarcandosi in nuove piccole avventure giornaliere, ricche di sorprese e dolci imprevisti. Ed è per questo che scrivo, per darvi delle tracce ma soprattutto per darvi degli stimoli a partire. Perché all’inizio si può sognare davanti ad uno schermo ma poi si deve levare l’ancora e salpare. Perché solo chi parte può dire di aver vissuto.
Dopo questa prosaica premessa devo fare un altro piccolo appunto. Perché il Messico? Perché i Maya? Perché diavolo mi faccio queste domande quando la risposta è talmente ovvia per tutti in quanto è una delle mete più suggestive del mondo. In realtà la scelta è ricaduta per forza di cose. Io avevo bisogno di staccare la spina e volevo le bianche spiagge caraibiche. Jessica, la mia ragazza, non sopporta stare ferma più di un paio d’ore ad abbronzarsi. Inoltre lei lavora in una gelateria per cui possiamo sempre partire solo in inverno. A fine Novembre le due opzioni che ci erano rimaste erano Cuba o il Messico. I voli per questi luoghi sono veloci e non c’è bisogno di fare scali su scali. Tutto ciò andava a nostro vantaggio dato il poco tempo che avevamo a disposizione. Dieci giorni. Non molti in realtà ma vi assicuro che bastano per vedere tutto ciò che di meglio lo Yucatan e il Quintana Roo hanno da offrire. Alla fine della fiera, benché Cuba sia caratteristica ed abbia ancora una voglia matta di sbarcare in quei lidi, il Messico l’ha spuntata grazie alla sua storia secolare fatta di piramidi e culture mistiche ed esoteriche… e ovviamente la sempre verde speranza di trovare per primi El Dorado.
Perché il Messico? Perché i Maya? Perché diavolo mi faccio queste domande quando la risposta è talmente ovvia per tutti in quanto è una delle mete più suggestive del mondo.
Un Viaggio On The Road
Bene possiamo partire. L’idea iniziale era quella di visitare l’intera penisola spostandosi ogni giorno in una località diversa per dedicarsi poi, negli ultimi giorni, ad un meritato riposo. Un po’ sarei stato felice io, un po’ Jessica. Il piano era questo: volo Venezia – Zurigo, Zurigo – Cancùn (Compagnia Swish Airline di cui vi parlerò a breve); Prima notte in città per poi partire all’alba con un auto a noleggio verso Valladolid, vedere i diversi cénotes (la più bella cosa che la natura abbia mai creato in terra) e la piramide di Ek Balam; il giorno dopo scoprire il più famoso complesso Maya del Messico: Chichén Itzá e spostarsi successivamente a Mérida, dove passare la notte e usarla come base di partenza per andare a vedere un’altra maestosa piramide: quella di Uxmall; Dopo un interminabile viaggio coast to coast in mezzo alla giungla (sei ore che non sono perse perché permettono di scoprire quei luoghi autentici del Centro America che di certo non si potrebbero vedere con dei viaggi organizzati) giungere a Bacalar, dove la laguna dei sette colori sorprende per la sua bellezza; infine risalire lungo la costa verso Tulum, Akumal e Playa del Carmen fermandosi ad ammirare l’unica piramide affacciata sull’oceano, le tartarughe marine e la biosfera di Sian Ka’an, il tutto alloggiando, e rilassandosi, quattro notti in un appartamento/capanna nella selvaggia giungla.
Il Volo
Amo volare; amo spostarmi con l’aereo e ormai se non lo prendo non mi pare neppure di esser stato in vacanza. Per questo viaggio mi sono affidato al solito skyscanner, un sito che permette di vedere i voli più economici, con cui ho scelto un volo che mediava tra l’economico e l’essere abbastanza veloce per non dover perdere troppi giorni di ferie. Prenotando mesi prima credevo, e speravo, di risparmiare ma sono stato molto sfortunato. Mediamente il volo andata e ritorno da Venezia si aggira attorno agli 800 euro, con un centinaio in più per assicurarsi (cosa altamente consigliabile per vacanze del genere), ma la settimana successiva alla mia spesa i prezzi sono crollati a 500 a testa. Mi è venuto male …
…
Torniamo a noi. All’andata ho viaggiato con la Swiss Airline, facendo un unico scalo a Zurigo (Non comprate cibo in aeroporto, per l’amor del cielo, che lì sono ricchi e un panino grande come un pugno viene sugli 8 euro), e devo dire che tutto sommato sono stato piacevolmente contento. Avevo letto recensioni negative sulla spaziosità negli aerei ed effettivamente per chi è molto alto può essere che capitino posti con poco spazio per le gambe, ma in realtà non l’ho trovato così angusto. Inoltre non ho mai visto una compagnia che ad ogni ora ti porta uno stuzzichino gratuito diverso, nemmeno quando volai con la Singapore Airlines, una delle migliori al mondo. Serviti e riveriti con sempre la pancia piena; soddisfatto! Tutt’altra storia al ritorno con la United, scomodissima e con quasi tutto il catalogo video a pagamento. Comunque alla fine il viaggio d’andata è durato 14 ore e 40 minuti passati cercando di dormire mentre una fidanzata, al suo primo volo intercontinentale, si spostava a destra e sinistra sempre in preda all’ansia.

VCE 09:55 – ZRH 11:10 ZRH 12:45 – CUN 18:35 Durata 14h 40m
Cancún
Cancún, una delle città più recenti del Centro America, pensate che fino a quarant’anni fa non esisteva nulla se non natura selvaggia, nasce proprio con l’intento lucrativo di sfruttare in modo turistico lo splendido Mar dei Caraibi e la cultura Maya. Il centro è molto vivo, specialmente quando affollato di turisti, e va dai grandi palazzi della zona hotelera, nello stile tipico e megalomane americano, alle capanne della periferia. In realtà basta veramente poco per scoprire la dualità dell’anima di Cancún, in bilico tra l’ostentazione di ricchezza e la povertà, ma qui come in altre parti del mondo la gente non sembra lamentarsi della propria situazione, anzi, i poveri sorridono più dei ricchi perché liberi dallo stress. Un uomo incontrato per caso proprio alla fine del viaggio, dal passato umile ma arricchitosi emigrando negli States, mi disse che non dovevo aver pietà delle persone che vivevano vendendo pannocchie o frutta lungo le strade delle campagne, perché semmai erano loro ad aver pietà di me. Guardarli con occhi pieni di compassione non solo è fastidioso, ma anche stupido. Mi chiese se possedevo un pezzo di terra, gli risposi di no; mi chiese se avevo una casa tutta mia, gli dissi che ero in affitto; mi chiese se mi piaceva pagare le tasse e continuare a cercare di risolvere i problemi della nostra quotidianità, dissi di no. Bene, loro hanno una foresta intera come giardino, la frutta pronta sull’albero da cogliere al mattino, una capanna da chiamar casa e la libertà di essere svincolati dal governo, che si interessa poco delle zone di periferia, avendo quindi modo di poter vivere in santa pace la propria umile vita. La libertà è la cosa veramente importante ed è ciò che noi non ci accorgiamo di aver perso. Non importa se si vive in un modo o nell’altro, i problemi sono rapportati alla propria situazione, e di sicuro loro sono più felici di noi. Certo, vederli in sella a catorci di biciclette seguiti da magri cani randagi non poteva non creare compassione, eppure erano sorridenti, forse aveva ragione (questa cosa mi riporta alla mente il viaggio in Thailandia; sono passati anni ma probabilmente ve ne parlerò).
Loro hanno una foresta intera come giardino, la frutta pronta sull’albero da cogliere al mattino, una capanna da chiamar casa e la libertà di vivere in santa pace la propria umile vita.
Cancún città è comunque qualcosa di completamente diverso da ciò che si vede solo qualche chilometro nell'entroterra. Tutto ciò che sorge invece lungo l'oceano è infetto da un mondo che non appartiene a quel luogo. Lo si capisce dal rumore, la musica, le luci sgargianti e la gente alticcia. Un mondo americanizzato o europeizzato, se pensiamo alla spropositata presenza di italiani a Playa del Carmen a poco più di un'ora di macchina a sud della capitale del Quintana Roo. Ciò non toglie che un po' di festa in vacanza non la si debba fare, anzi, andateci e divertitevi, ma per l'amor del cielo non riducetevi come molti turisti che si immobilizzano in villaggi o hotel di lusso e che vedono il Messico filtrato dalla lente scenica dei parchi divertimenti per le masse come quello di Xcaret (un riassunto fittizio e molto costoso, parliamo di un centinaio di euro solo per il biglietto base, di tutto ciò che potrete trovare in modo più economico, realistico e tangibile nel proseguo del viaggio. Sarebbe come andare a Gardaland nella giostra dei pirati quando a poca distanza c'è davvero il mondo sommerso che stavate cercando).
Ma partiamo con quelli che sono stati i miei primi passi in questo meraviglioso Paese (tranne per i topes, io odio i TOPES, ne riparlerò). Innanzitutto, contraddicendomi fin da subito sulla bellezza del perdervi in luoghi sconosciuti per scoprire bellezze nascoste, compratevi una SIM per far funzionare il navigatore. Il navigatore è necessario per trovare i vari alloggi, specialmente nelle zone un po' sperdute. Per tutto il resto lanciatevi all'avventura. Prima di partire avevo letto che non era permesso vendere SIM card agli stranieri ma vi posso assicurare che non è così e che ve la installeranno anche in qualsiasi grande supermercato della città.
Altra cosa importante per fare un viaggio come si deve è quello di non essere vincolati da mezzi pubblici o navette organizzate dal proprio hotel, cosa che ho fatto solo ed unicamente per visitare la biosfera di Sian Ka'an, ma lì è stata una scelta obbligata. Tramite l'acquisto del biglietto aereo con Expedia ho anche avuto la possibilità di un noleggio gratuito della vettura (subito fuori dall'aeroporto troverete almeno tre luoghi in cui noleggiarla) ma ho comunque deciso di affrontare la spesa per una assicurazione aggiuntiva non inclusa. Con 180 euro circa ho fatto la kasko e sinceramente consiglio vivamente di aggiungerla al contratto, sia perché una volta restituita la vettura ci metteranno pochi minuti a lasciarvi andare senza controlli eccessivi, sia perché dovrete affrontare strade disseminate di quei dannati e maledetti "topes". Cosa sono i topes? Sono i cugini cattivi dei nostri dossi. Cattivi è un eufemismo per descrivere quelle che sono delle vere e proprie montagnole di cemento capaci di distruggere anche l'asse di un fuoristrada. Se volete far sopravvivere la vostra vettura per tutto il viaggio dovrete mettere in conto che in determinate zone sarete costretti a fermarvi ogni cento metri per attraversarli a passo d'uomo. La cosa addirittura più fastidiosa è che li troverete, per fortuna in maniera meno pressante, anche in mezzo a quelle moderne superstrade che attraversano il nulla.
Cosa sono i topes? Sono i cugini cattivi dei nostri dossi. Cattivi è un eufemismo per descrivere quelle che sono delle vere e proprie montagnole di cemento capaci di distruggere anche l'asse di un fuoristrada.
Altra particolarità delle vie di comunicazione messicane è la presenza di moltissimi mezzi di polizia, sia locale che federale, oltre a piccoli edifici di presidio all'entrata e all'uscita di quasi tutti i paesi che incrocerete. Non so se siano sinonimo di sicurezza, ho sempre sentito della grande corruzione delle forze dell'ordine di questo Paese, ma la penisola dello Yucatán è generalmente un luogo sicuro. I turisti vengono trattati con un occhio di riguardo proprio perché è su di loro che si basa l'economia della zona (cosa confermata anche da una guida italiana incontrata qualche giorno dopo).
Di Cancún inizialmente abbiamo visto molto poco ma ci siamo rifatti negli ultimi giorni, e per questo molte cose le rimando alla fine del racconto, ma vi posso dire che dopo aver alloggiato la prima notte in città in una guest house gestita, nemmeno a farlo a posta, da un italiano proveniente dal paese confinante al mio trasferitosi per amore (il Bed and Breakfast si chiama Eclipse), siamo stati indirizzati in un localino li vicino. Con pochissimi pesos ci siamo riempiti la pancia e abbiamo potuto assaporare per la prima volta il vero sapore messicano. Da lì abbiamo capito tre cose importanti: per prima cosa che il messicano in Italia offre un millesimo della cucina del centro americana, è un fake alla pari di una spaghettata mangiata negli States, e che da noi è stupidamente solo piccante. La seconda è che in tutti i locali, dalla bettola al ristorante, viene quasi sempre offerto un antipastino fatto di salse e tortillas, nemmeno troppo scarno con il rischio di riempirsi prima del tempo. Per ultima l'obbligatorietà della propina, la mancia, nello stesso modo nordamericano. Teoricamente si potrebbe anche decidere di non lasciarla ma in questo caso si passerebbe da grandi maleducati. Considerando che il cibo in Yucatán costa davvero poco qualche pesos in più non inciderà minimamente sulle vostre tasche (10%, 20% o 30% del totale, in base alla scelta del cliente).
Dopo la mangiata, e dopo questa lunga parentesi sugli usi e costumi del Messico, siamo tornati nel nostro alloggio pronti a quel che sarebbe stato l'inizio vero del nostro viaggio.
Valladolid, Ek Balam e i Cenotes
Una notte stranamente fredda a causa dei venti provenienti da nord ci ha fatti preoccupare, dato che eravamo scappati dall'autunno europeo per cercare di allungare l'estate, ma dopo qualche giorno le temperature si sono subito rialzate (in Novembre mai troppo calde e sicuramente piacevoli). Dopo esserci alzati ed esserci preparati alla partenza abbiamo fatto la nostra prima, e fantastica, colazione. Nonostante fosse povera rispetto a quelle che avremo consumato in seguito vi assicuro che la presenza abbondante di yogurt e frutta vi faranno rivalutare il concetto stesso di colazione. Io sono un tipo da latte e biscotti al mattino, saltuariamente brioche e cappuccino, ma quando vi ritroverete in un posto tropicale come questo capirete che anche il gusto è di un altro mondo. Non perché i locali abbiano gusti differenti ma perché la frutta appena raccolta è qualcosa di unico, con un sapore dolce ed intenso che per qualche strano motivo, probabilmente perché i frutti esotici vengono raccolti non ancora maturi quando il destinatario si trova in un altro continente, viene perso nel viaggio verso l'Europa. Vi assicuro però che il gusto della frutta, e specialmente delle bananine del posto, vi sorprenderà e vi darà una carica di energia per tutto il resto della giornata.
Salutato il padrone di casa abbiamo impostato il navigatore con destinazione Valladolid.

Uscendo da Cancún inizierete finalmente a vedere quel che è davvero il Messico tropicale. Le strade principali sono ben messe, come vi dicevo tutta l'infrastruttura della zona è recente, ma al lato inizieranno a fioccare le prime capanne con locali intenti a vendere frutta o verdura. Più vi addentrerete nell'entroterra più questa cosa sarà frequente. Il viaggio del primo giorno era volutamente breve con l'intento di abituarci gradualmente al luogo, per cui, nonostante Valladolid sia solo un paesino, abbiamo deciso di tenerlo buono come tappa intermedia per visitare due dei siti archeologici della zona: quello scoperto di recente di Ek Balam e quello ben più famoso e grande di Chichen Itza. Prima di giungere in paese, dunque, abbiamo virato leggermente a nord verso il primo complesso dove ci saremo interfacciati per la prima volta con la cultura Maya. Ora, quel che pensavo all'inizio era di studiarmi tutto in aereo per poter poi fare da guida improvvisata alla mia fidanzata; niente di più sbagliato. Se ad Ek Balam ci siamo mossi velocemente da soli, il giorno successivo a Chichen Itza abbiamo deciso di prendere una vera guida. Vi assicuro che tutto cambia. Non tanto perché vi dica molte più cose di quelle che potete recuperare da soli nel web, ma perché vi trasmette i pensieri degli stessi maya oltre a narrarvi aneddoti storici e particolari che non vengono riportati nelle guide. Il tutto viene poi spiegato da professionisti che sicuramente sanno come intrattenere gli ospiti. Ho adorato l'ora passata ad ascoltare la storia di quei luoghi e ve la consiglio vivamente. Questa parentesi era per dirvi che la visita ad Ek Balam è stata si emozionante, ma al contempo un po' vuota e meno memorabile. Ciononostante tenete presente che nel tempio del Ghepardo (Balam per l'appunto) si può salire fino in cima ed ammirare l'immenso oceano verde che lo circonda mentre in altri luoghi più conosciuti ciò non è permesso (una signora americana sembra sia ruzzolata giù lungo i gradini della piramide di Chichen Itza perdendo la vita; da lì la decisione definitiva di impedirne l'accesso) quindi una capatina in zona ve la consiglio.

Dopo la piccola immersione nella giungla ci siamo diretti nuovamente verso Valladolid, ma questa volta fermandoci nel luogo che considero più magico nella terra, il nostro primo cenote. Cenote è una parola che deriva direttamente dalla lingua dei Maya: dzonot, cioè "acqua sacra", ed è una grotta sotterranea riempita da acqua sorgiva o di mare. Anticamente venivano fatti riti e sacrifici, erano luoghi spirituali, e non ho dubbi sul perché lo fossero. Appena entrati il mondo esterno appare lontano mentre dentro il riverbero di una cascata che scende a picco direttamente nel centro del lago da una fessura sul soffitto nasconde ogni altro suono. Fondo almeno quaranta metri, il cenote Hubiku è stata l'epifania dell'intero viaggio. A dirla tutta siamo stati più che fortunati e, arrivando a quaranta minuti dalla chiusura in bassa stagione, ci siamo trovati soli ad ammirare la natura di quel luogo. Un pontile mezzo sommerso accompagna verso il tuffo nel baratro e nuotare al centro di quel buco fa un certo che. Eppure trovarsi a galleggiare sotto quella cascata e protetti da quelle immense pareti pareva di trovarsi in uno di quei film di pirati alla ricerca di un tesoro maya nascosto. L'acqua è piacevolmente fresca ma anche a temperatura costante per tutto l'anno a dispetto della temperatura esterna dell'aria. Di cenotes ce ne sono di vari tipi, sia sulla terraferma che sommersi nel mare come vi racconterò in seguito, e ne sono presenti più di diecimila in tutta la penisola. Di questi quattromila sono praticabili. Perché così tanti e perché tutti in quella zona? Sembra si siano generati milioni di anni fa grazie a nientepopodimeno che il famigerato meteorite che estinse i dinosauri, caduto vicino a quelle che ora sono le coste nei pressi di Mérida. L'onda d'urto a piegato su sé stesso il terreno creando della faglie riempitosi poi di ghiaccio. Dopo la glaciazione quel che rimase fu il paradiso in terra.

Usciti dal bagno e preso il primo raffreddore dell'anno, cosa poco piacevole in un luogo in cui non sanno nemmeno cosa sia (giuro, non troverete facilmente fazzolettini di carta al supermercato e se li troverete si squaglieranno solo nell'estrarli dal pacchetto), ci siamo diretti al nostro alloggio per appoggiare le cose e ritornare subito in paese per la cena. Il centro di Valladolid è caratteristico con una grande piazza illuminata e degli edifici coloniali. Tutt'attorno ci sono molti ristorantini modici nel prezzo ma di qualità. Ricordo ancora la bontà della zuppa di mais, di quella di lime (sopa de lima) e della tipica salsiccia del luogo (longanitza).

Dopo la prima esperienza culinaria in un vero ristorante siamo tornati nuovamente all'hotel, se vi servisse era l'El Zaguan Colonial. Ho scelto una stanza vicino alla piscina ma alla fine, dato che il mattino dopo sarei subito ripartito, non l'ho sfruttata. Considerando la zona un po' rurale il rapporto qualità / prezzo è ottimo. Pulizia impeccabile e colazioni economiche ed invidiabili. Come potete vedere dalla foto sottostante capirete perché io amassi i dolci risvegli messicani.

Non ci siamo fermati molto, se non per fare una chiamata a casa e fare invidia ai genitori, e siamo subito ripartiti per un'altra giornata avventurosa.
Chichén Itzá
Prima di proseguire per quello che è a tutti gli effetti il luogo simbolo dell'intera penisola dello Yucatán, dopo l'esperienza del giorno precedente, non potevamo esimersi dal fermarci in un altro complesso di cenotes: quello composto dal cenote X'kekén e dal cenote Samula.
La cosa straordinaria di questo luogo è che in pochi metri, meno di una cinquantina, vi sono due grotte completamente differenti. Una di queste si presenta come quella di Hubiku, con alte pareti, una stanza spaziosa ed un varco al centro da cui filtra un raggio di luce magica. L'altra invece è molto più buia, con un soffitto basso stracolmo di stalattiti ed un'acqua leggermente più calda. All'ingresso purtroppo si viene tampinati da guide improvvisate intente a spiegare qualche piccola curiosità del sito; la cosa divertente però è stato quando, un po' per togliermi dalle scatole il ragazzino insistente, un po' per pietà, ho deciso di pagare il suo servizio con qualche pesos di troppo. Non so quanto fosse, mi pareva una cosa come cinque euro, non molto anche se in realtà davvero troppo in relazione alle due cose che ci ha poi narrato, ma per lui erano davvero tanti soldi. Tutto entusiasta, invece di farsi da parte e lasciarci esplorare i cenotes da soli per replicare le emozioni del giorno precedente, ci ha invece seguiti per diversi minuti, offrendoci di portarci gli zaini, farci le foto e tenerci le cose. Alla fine tutto ciò mi ha fatto piacere. Mi sentivo di aver fatto del bene nonostante non avessi trovato la stessa pace che volevo. Al di là di questo il luogo merita davvero una visita. Al contrario di posti più turistici come i cenotes Dos Ojos vicini alla costa, tutti quelli nell'entroterra sono meno frequentati e ci si può fare un bagno in santa pace. Inoltre per i più avventurieri, o per chi ha semplicemente più tempo, da qui si può partire in sella a dei quad con cui inoltrarsi nella giungla guidati da persone esperte. Una bella esperienza che però abbiamo dovuto rifiutare per dirigerci invece nella splendida Chichén Itzá.
Ed ecco che in poco più di mezzora siamo giunti in quella che viene considerata la più famosa città maya del Messico, o almeno, data la sua straordinaria conservazione, quella che viene più riprodotta sulle cartoline.
Chichén Itzá, la città “situata alla bocca del pozzo degli Itza”, si identifica nella maestosa piramide di Kukulkan, dedicata al dio azteco Quetzalcoatl, il serpente piumato.

Quetzalcoatl deriva dal quetzal splendente, un uccello non più presente nello Yucatan ma che un tempo esibiva i suoi colori sgargianti in questa zona. Il movimento della sua lunga coda mentre volava assomigliava al scivolare di un serpente. Probabilmente è questo il motivo da cui è nato il mito del dio del vento portatore di pioggia.
Di Chichén Itzá ce n'è da raccontare per ore ma mi limiterò alle cose più interessanti che Lupito, la nostra fantastica guida, ci ha narrato. Come vi dicevo in precedenza sono stato piacevolmente colpito dalla preparazione e dalla mole di informazioni delle guide e vi assicuro che ne vale la pena. Sceglietene una all'ingresso e immergetevi nella conoscenza.
Prima di tutto che cos'è Chichén Itzá e perché ha questo nome? Beh lo si deve soprattutto alla presenza di due cenotes che rifornivano d'acqua il luogo. Studi moderni hanno evidenziato come la piramide, o meglio, le piramidi (adesso vi spiego) siano state costruite sopra al pozzo su cui venivano praticati sacrifici umani. Dicevo piramidi, al plurale, non perché ce ne siano diverse nella zona, ma perché sono state costruite una sopra l'altra. Questo aggiornamento non era stato compiuto per mero senso estetico ma più sagacemente per rivedere il calendario; un tempo lunare dove la piramide contava meno gradini, ora solare con 91 gradini per lato più la cima del tempio. 365 gradini in totale che modernizzavano la concezione del tempo e permettevano i sacerdoti di calcolare il periodo della semina e quello del raccolto.

Ma i sacerdoti erano furbi: nonostante le costruzioni fungessero da calendari e mappe astronomiche avevano già la conoscenza per gestire le cose. I rituali, la gestualità, i sacrifici, non erano altro che qualcosa per avvalorare il loro potere. I ricchi regnanti erano quindi subordinati agli dei, e per dei intendo questi uomini meschini ma di grande intelletto, capaci di tramare e governare alle spalle dei re. Considerate che il popolo, ridotto alla fame e alla pellagra, credeva davvero che Queztalcoalt rispondesse al loro grido di aiuto quando le trombe suonavano e il riverbero fuoriusciva dal tempio. Si, lo stesso suono che ora è diventato puramente turistico generato dal battere le mani davanti alla piramide per aspettarsi un suono di ritorno simile al verso del quetzal. Ciò è dovuto alla geniale conformazione della struttura, dove il materiale dei gradini è diverso da quello della base del tempio e produce così vibrazioni e rumori mistici. Una delle tante trovate per celebrare l'arrivo di Kukulkan nei giorni degli equinozi. Infatti, grazie alla precisa angolazione della piramide, durante quei particolari giorni dell'anno, l'ombra generata dagli scalini nella balaustra produce l'ombra di un serpente che striscia dall'alto verso il basso. L'arrivo del dio era una benedizione ed indicava l'inizio del periodo della semina. I sacerdoti ben sapevano che di lì a poco sarebbe iniziata la stagione delle piogge ed il popolo sarebbe stato soddisfatto, che ci fosse o no l'ombra, che avvenissero o meno i sacrifici. Ma questi andavano fatti, andavano fatti per arricchire gli dei, per arricchire i potenti stregoni. Il sangue versato non era però di umile origine, anzi, doveva essere di sangue nobile, di re nemici catturati, oppure di coloro che vincevano il diritto di essere degni rappresentanti del popolo vincendo l'estenuante gioco della pelota.
Il gioco con la palla è più interessante di come immaginassi. Lupito mi passò una sfera di solida gomma come quelle usate all'epoca. Vi assicuro che mi prese alla sprovvista: 3 o 4 chili di divertimento. Uno strumento del genere, per quanto elastico e rimbalzante, produceva contusioni e fratture nei giocatori, che per questo motivo utilizzavano una serie di protezioni per impedire di cedere al primo colpo d'anca. Si, anca, perché la palla non si poteva toccare se non con le anche e i gomiti, a volte con piccole varianti, con lo scopo di centrare un anello appeso su una parete dove far canestro e quindi punto.
Sembra ci fossero altre regole, come quella in cui solo il capitano poteva cercare di segnare mentre la squadra doveva sostenerlo con passaggi e rimbalzi, ma ciò che conta davvero è la struttura del match, ideato per durare ore ed essere quindi un vero test per chi avesse l'onore di esser scelto dagli dei. Vincere per morire, vincere per servire. Il campo era strutturato specularmente, con alte mura parallele, non perché le si utilizzassero entrambe contemporaneamente, ma, proprio perché la durata della partita poteva dilungarsi, serviva spostarsi per ripararsi dal sole e giocare quindi in ombra. Inoltre ciò facilitava anche l'acustica. La lunghezza di 166 metri e la larghezza di 68, almeno in questo sito archeologico, erano misure studiate proprio perché il suono si propagasse perfettamente per tutto il campo (Lupito ha spiegato la cosa come se il tutto fosse correlato con la velocità del suono e quindi dando adito all'ipotesi che i Maya sapessero calcolarla) e chiunque potesse sentire la voce del sacerdote.
A fine partita il capitano della squadra vincente si immolava col sorriso, salendo i gradini che portavano all'altare sacrificale e porgendo la testa perché fosse versato il suo sangue. Ah le belle abitudini del centro america!
Vincere per morire. Vincere per servire.
Sta di fatto che la cosa non durò. Dopo secoli di usanze brutali qualcuno deve essersi accorto che la cosa non quadrava e il sistema instaurato dall'elité si sgretolò grazie ad una ribellione. Il declino dell'impero iniziò quel giorno. La plebe arrabbiata non aveva tenuto conto che decapitando i governanti mieteva la cultura, e senza cultura chi diceva loro quando piantare il mais? Le carestie si moltiplicarono e la povertà portò a lotte di potere fra disgraziati. Quando gli spagnoli arrivarono non trovarono l'El Dorado; non incrociarono potenti re e gente di grandi nozioni astronomiche e matematiche, ma i discendenti che sopravvivevano nella giungla. Senza un esercito a contrastarli gli europei ebbero vita facile nel penetrare ed instaurarsi nel nuovo mondo.
Piccole postille finali: solitamente i souvenir si prendono a fine viaggio, sia perché sono solo un ingombro, sia perché prima ci si fa prima un'idea sui costi. Ecco, vi assicuro che mi pento di non aver preso più calamite nei mercatini all'interno del sito. E' vero che i prezzi sono maggiorati ma si può sempre contrattate mentre la qualità delle cose, che siano fatte realmente in Messico o in Cina, è inspiegabilmente superiore. In qualsiasi zona della costa est ho solo trovato cianfrusaglie o calamite orrende ma forse sono solo stato sfortunato. Se siete come me che fin da piccolo appiccico magneti da tutto il mondo nel frigo di casa, questo è il momento giusto per prenderne un po'.
Altra cosa importante è lo spettacolo serale di luci e musica proiettato sulla grande piramide. Noi non abbiamo potuto assistervi perché il tempo era tirato e dovevamo trasferirci a Mérida per la notte ma se volete fermarvi una notte in più sappiate che c'è anche questa possibilità. Su internet ci sono molti pareri discordanti: (anche la gente nel luogo dice lo stesso) c'è chi lo elogia e chi invece lo considera una trovata eccessivamente turistica, una villania alla cultura storica del posto. Non mi pento di averlo tralasciato, faccio parte di quelli che amano la veridicità delle cose (come vi avevo già detto del parco di Xcaret), e sono passato oltre per dirigermi nella prossima meta: la capitale dello stato federato dello Yucatán ci aspettava.
Mérida
La scelta di percorrere una strada alternativa ci ha penalizzati un po'. Per arrivare alla capitale dello Yucatán si può percorrere l'autopistas (autostrada a pedaggio) o strade gratuite a bassa velocità, di solito chiamato carreteras. Il navigatore ci segnava solamente un'ora di percorrenza in più seguendo la via gratuita, quindi ci siamo fidati anche per vedere la genuinità del posto. Effettivamente è stato bello scoprire i piccoli villaggi dei locali ma non tenevamo conto dell'esorbitante presenza dei topes, maledetti topes, ed invece di poco meno di due ore il tragitto si è allungato a più di tre ore, portandoci via un po' di tempo per visitare con più calma la città. Non è stato tempo perduto ma sicuramente mi sento di consigliarvi, almeno per questo tragitto, la via a pagamento.
Qui purtroppo non posso darvi molte nozioni e consigli a riguardo. Mérida non è stata per noi meta turistica ma piuttosto una base di partenza per dirigersi al complesso archeologico di Uxmal. Quel che posso dire è che è una grande città, affollata e con molto traffico, ma ha anche con un bel centro cittadino sicuramente più vivo di Cancun. Infatti l'abbondanza di locali, ristoranti ed eventi organizzati dall'ente del turismo, porta ad avere un'atmosfera fresca e festosa, con ragazzi che si danno battaglia a suon di rap improvvisato in un angolo della piazza mentre dall'altro lato una famigliola si fa un giro in carrozza fingendo di essere nuovamente in epoca coloniale. L'architettura difatti riflette proprio l'influenza spagnola, cosa che invece non si può vedere a Cancun per ovvie ragioni. La moderna capitale del Quintana Roo ha una storia fin troppo recente per poter contare anche sul turismo "architettonico", diciamo così, mentre di Mérida si può fotografare uno scorcio di una strada e già l'immagine si impreziosisce con un valore aggiunto.
Arrivati in tarda serata e molto stanchi, quel che siamo riusciti a fare è stato una breve passeggiata ed una cena in un ristorantino del centro, prima di tornare nel nostro hotel. Posto in una zona defilata dai luoghi di interesse e circondato da strade trafficate e dal rumore delle macchine, non avrei mai detto che all'interno l'Hacienda Inn fosse invece un posto dove rilassarsi e stare bene. Una stanza matrimoniale in un hotel quattro stelle con una enorme piscina dove rinfrescarsi a soli 29 euro per la notte, cose che in Italia ce le sogniamo. Ormai il ritmo vitale si era adattato a quello del viaggiatore, a letto presto per svegliarsi presto. Jessica non era molto felice della cosa ma d'altronde a me quando prende il sonno non c'è niente che possa destarmi.
All'alba seguente la mia ragazza era già pronta per un tuffo in piscina mentre io purtroppo mi asciugavo quella fastidiosa goccia al naso che mi portavo dietro dopo la visita ai cenotes. Niente di grave quando ci si può consolare dondolandosi in una amaca di prima mattina.
Mérida purtroppo per noi è stata tutto qui, una breve parentesi, ma di certo se avrete più tempo scoprirete sicuramente qualche angolo che vi rimarrà nel cuore.
Di nuovo in marcia e subito con le valige pronte; direzione Uxmal.
Uxmal e la lunga Coast to Coast
L'avventura, quella vera, è fatta anche di silenzi e sguardi; dal rumore del vento e dell'aria che penetra dai finestrini abbassati dell'auto spettinandoti i capelli ai malinconici, poetici, mesti o maestosi paesaggi che si vedono scorrere fuori dall'abitacolo. Quasi come se il mondo là fuori fosse un film e tu un semplice spettatore incredulo, il giudizio critico viene meno per dare adito a qualcosa d'immenso che ci riempie l'anima e ci fa smettere di pensare e smettere di parlare. Quante volte da bambini, mentre papà e mamma guidavano, rimanevamo seduti nel sedile posteriore con la fronte appoggiata al vetro e gli occhi a fissare l'orizzonte? A quante cose pensavamo scrutando ciò che ci circondava? Ora, da adulti in un mondo caotico, ci perdiamo ad ascoltare la radio, a sfogliare i social, a vivere in un mondo alternativo che ci riempie ogni minuto della giornata senza vedere cosa c'è là fuori e senza più prenderci del tempo per noi stessi. Quando si viaggia in un paese straniero, invece, si può ancora essere ragazzini e vedere qualche tenue scorcio di ciò che eravamo: piccoli viaggiatori curiosi che non conoscevano lo smartphone e che, sentendosi ispirati dalla bellezza della natura, utilizzavano il paesaggio come una fuga per la fantasia e per l'immaginazione.
Questo avviene per mille motivi: basti pensare che la radio trasmette dialoghi in una lingua differente che non ci permette di seguire il discorso; la connessione a internet in certe zone non è un granché; percorrere strade sconosciute non ci azzera il cervello come quando si fa avanti e indietro quotidianamente per andare a lavoro diventando automi con il pilota automatico inserito.
Ciò che conta davvero è che un viaggio on the road ti lascia sempre qualcosa; non è una perdita di tempo ma un'esperienza di vita, un tempo che puoi far tuo completamente.
Questo per me è stata questa giornata alla guida: una giornata in cui ho potuto scoprire piccoli segreti del Messico ma anche riscoprire sentimenti sepolti dentro di me mossi dalla malinconia generata dal sublime paesaggio. Essere felice provando tristezza; essere di nuovo bambino ma con la consapevolezza di poterlo essere solo per la durata di quel viaggio.
Alle volte bisogna tornare piccoli avventurieri; è per questo che io parto.

Torniamo a noi e a quel che realmente abbiamo visto. Non vorrei stancarvi troppo con digressioni che poco potrebbero interessarvi. Quel che volete realmente sapere è ciò che lo Yucatan ha da offrirvi se decideste di percorrere le mie orme quindi saltiamo l'oretta di spostamento da Mérida a Uxmal per raccontarvi com'è questo meraviglioso sito Maya.
Uxmal sorge nel bel mezzo della giungla. Le strade che vi ci porteranno sono nuove e ben messe ma incontrerete poche abitazioni lungo il percorso e nella zona del complesso archeologico ci sono solo forse un paio di hotel e nulla più.
Il posto, essendo fuori da zone battute dal turismo di massa, è completamente differente dalla caotica Chichen Itza. Proprio per questo motivo potrete scorrazzare liberamente per tutto il complesso senza imbattervi in troppe persone e potrete quindi fare delle foto meravigliose.
Il sito si differenzia anche per lo stile architettonico, basti pensare alla caratteristica piramide a base ovoidale, che segue la corrente "puuc". Questo particolare genere deriva dal popolo delle colline, per l'appunto puuc (collina), che edificava strutture con molti livelli e stanze.
Il "tempio dell'indovino" era dedicato al dio Chaac, il dio della pioggia, poiché in quella zona avvenivano scarse precipitazioni. Probabilmente fu proprio questo il motivo del declino della città attorno al 900 d.C.

Uxmal non viene disturbata dal fragore dei mercanti che tentano in ogni modo di farti comprare un souvenir e per questo ci si sente liberi, non solo nel corpo, dato che ci si può muovere quasi in ogni zona senza essere bloccati, ma anche nello spirito. Dall'alto di uno degli edifici si respira aria di libertà, basti vedere la foto di copertina con cui apro questo racconto.
Anche in questo sito, come quelli meno turistici e più isolati, si può straordinariamente salire in cima ad una delle piramidi. Il trucco c'è, o meglio non ci si rende conto di ciò che ci viene permesso fare. Tutti guardano il tempio dell'indovino dato che è ciò che spicca di più all'occhio ma nell'immediato non si nota quella che è davvero la piramide principale. Se nel primo caso vi è il divieto di calpestare i gradini fino in cima, nel secondo si sale lungo quella che sembra essere una ripida ed enorme scalinata nel fianco di una collina e, finché non si arriva nella sommità, non si capisce che quella "puuc" in realtà è un altro tempio sommerso dalla vegetazione. Ebbene si: la piramide principale di Uxmal è stata liberata solo nel fianco nord e non è un edificio eretto nel fianco di un monte ma il monte stesso. Alta 32 metri svetta su tutto il resto solo quando capiamo dove ci troviamo e dall'alto possiamo vedere la vastità della giungla che si espande in ogni direzione, per chilometri e chilometri, gli stessi che poco dopo avremmo percorso fino al calar del sole.
Piccola postilla: non vi ho detto che in una delle cene precedenti abbiamo mangiato una zuppa di chaya, una pianta che cresce nel centro/sud america e che viene considerato l'albero di spinaci messicano. Se l'aspetto è abbastanza diverso quando viene cotta il sapore si avvicina molto alla verdura che conosciamo. Vi cito questa cosa perché con grande sorpresa all'uscita, nel bar dell'ingresso, ce la siamo ritrovati riproposto in versione dolce e dissetante da passeggio assieme a delle foglie di menta, ananas e limone. Usata quindi in molte ricette e con diverse varianti la chaya è indicata per migliorare la circolazione, la digestione ed abbassare addirittura il colesterolo. Una delle tante sorprese della cultura gastronomica del luogo.
Ma la giornata non era ancora finita, anzi eravamo molto distanti dalla meta. Da Uxmal dovevamo procedere fino a Bacalar, la laguna dei sette colori. La strada è davvero, davvero lunga, ma ogni piccolo villaggio incontrato è stata una sorpresa. Pensate che a circa metà percorso, quindi lontano da qualsiasi altra cosa, tipo che se si viene rapiti nessuno vi verrà mai a cercare lì (scherzo non sembrava un posto così pericoloso), vi è un paesino con qualche bella casa (lasciamo da parte le speculazioni su quale narcotrafficante possieda delle stupende villette in mezzo al nulla) e viali tenuti meglio di zone più vicine alla civiltà. Una piccolissima parentesi di un chilometro circondata da nuove baracche sia chiaro. Inoltre è stato divertente scoprire, credo fosse a Manì o in uno dei villaggetti che abbiamo attraversato, un'abitazione recintata con un husky all'interno. Noi che ne abbiamo uno siamo rimasti molto sorpresi, specialmente perché in ogni via della penisola circolano liberamente cani randagi tutti uguali e tutti ridotti alla fame.
Superata una prima parte su strade cittadine da Peto in poi, eh così si chiama, con l'avvicinarsi della costa la carreggiata si allarga sempre più fino ad assomigliare quasi ad una autostrada, salvo ricordarsi poi che qualche maledetto topes è sempre pronto a minare il vostro cammino e fare un sgambetto alla vostra vettura anche dove non ve lo aspettereste mai.
Con il passare delle ore il sole è sceso velocemente lasciando il posto a qualche preoccupazione. Per quanto nuove le vie principali che attraversano la giungla sono quasi completamente prive di illuminazione cosicché trovarsi qualche autovettura che ci facesse da apripista per percorrere gli ultimi chilometri è stato un sollievo.
Bacalar, con le sue luci, comparve nell'oscurità senza rivelarci ancora la sua bellezza.
Bacalar e i Sette Colori
Nella notte le ombre nascondevano l'acqua della laguna e la stanchezza si stava facendo troppo sentire per darci modo di inoltrarci in vie alternative alla ricerca di qualche punto panoramico. Ci siamo quindi diretti immediatamente verso la nostra stanza in quella che sembrava una vecchia casa sistemata alla bene e meglio per i turisti. Nonostante l'apparenza dentro era molto pulita con due grandi letti e tutto il necessario. L'hotel Szapot costa poco, 25 euro a notte, e non presenta nessun comfort degli hotel precedenti. Forse avrei dovuto prenotare un po' prima in qualche sistemazione un po' più carina anche per poter vivere la zona almeno una notte in più (perché merita davvero) ma alla fine se il vostro intento è di fare una sosta breve come la nostra non vi preoccupate che andrà bene (tranne il bagno, alla mattina sapeva un cattivo odore adesso che mi ci fate pensare, ma vabbé!). Da qui, senza andare alla ricerca di info point turistici, potete chiedere direttamente al proprietario di organizzarvi la vostra gita in barca per il mattino seguente. Senza problemi di nessun genere arriverà un taxi a prendervi e vi passerete una giornata da favola. Ma prima di coricarci e attendere il giorno successivo siamo usciti a piedi verso il centro alla ricerca di un ristorantino dove mangiare.

La piazza principale è molto carina. Mi sentivo come se stessi in villeggiatura in un paesino europeo, Rovigno forse, complice l'aria di mare, i ristorantini turistici con specialità pesce e il Fuerte di San Felipe che dava un tocco culturale settecentesco alla zona. So che nel forte si può entrare per vedere un piccolo museo con circa 30 pesos (1,40 euro), ma ovviamente a quell'ora era chiuso e lo abbiamo ammirato da fuori. Edificato nel 1733, questa fortificazione spagnola serviva per difendere l'avamposto da inglesi e corsari che, con l'alta marea, penetravano nella laguna per attraccare e cercare riparo dalle interperie.
Bacalar (il nome deriva dal maya b’ak halal che significa città circondata dai canneti) è un luogo unico in tutto il Messico e difficile da comparare anche ad altri luoghi del mondo. La peculiarità sta nelle acque caraibiche che fanno credere di essere nell'oceano e non in riva ad un lago, sebbene non sia un lago a tutti gli effetti. Questo perché le sue acque sono alimentate per il 70% da cenotes e per il restante da acqua salata che penetra dal mare distante una manciata di chilometri. A proposito di cenotes qui ve ne sono di particolari, proprio perché subacquei. E' emozionante trovarsi sul ciglio di un burrone di novanta metri sapendo però che non ci si può ruzzolare dentro. Un secondo prima si ha l'acqua bianca e trasparente fino al ginocchio, un passo dopo vi è il baratro di colore nero.
Ho anticipato due dei sette colori che costituiscono la laguna e che avremmo visto la mattina successiva. Ve ne parlerò meglio tra qualche riga.
Per cena ci siamo fermati in quello che sembrava il ristorantino più accattivante, ma in realtà forse il luogo in cui ci siamo trovati peggio in tutta la vacanza. Sia chiaro, non abbiamo mangiato in modo terribile, ma abituati a certi standard ci siamo rimasti un pochino male. Pata de Perro aveva comunque dalla sua una terrazza panoramica rinfrescata da un dolce venticello.
Tornati nella nostra stanza ci siamo coricati attendendo di vedere finalmente ciò che aspettavamo da giorni: l'azzurro della laguna.
Sappiate una cosa. Basta una nuvola e la magia svanisce. Scegliete bene i giorni in cui andare perché senza il sole manca il motore che permette allo specchio d'acqua di far scaturire quei colori che altrimenti non potrebbero essere irradiati.
Un giorno nuvoloso è un giorno perso. Lo dico perché nel cielo per fortuna c'erano poche piccole nubi bianche ma, ogni qualvolta si frapponevano tra noi e la luce, tutto diventava grigio e si offuscava la visione di quel che pochi secondi prima era terso.
All'ora prestabilita, dopo una colazione fatta in un bar di quel che sembrava essere un'ostello, dato che da noi non era prevista, ci siamo presentati all'incontro con il ragazzo che ci avrebbe accompagnato fino alla barca. Il taxi era vecchio e forse un po' scassato ma il giovane autista era simpatico e sembrava felice della nostra presenza. Continuava a canticchiare qualcosa e pareva farlo a posta. Non per darci fastidio ma perché voleva farci conoscere quelle canzoni e quel cantante in particolare; tant'è che ad un certo punto ha tirato fuori lo smartphone per mostrarci un suo video. Dentro di me ridevo. Nonostante non fosse il mio genere, e sembravano essere vecchie canzoni di Sanremo, ero comunque felice; c'era l'atmosfera giusta per iniziare una giornata al mare (ops! laguna).
Basta una nuvola e la magia svanisce. Scegliete bene i giorni in cui andare perché senza il sole manca il motore che permette allo specchio d'acqua di far scaturire quei colori che altrimenti non potrebbero essere irradiati.
Arrivati ci siamo messi ad aspettare altri ragazzi provenienti da altre sistemazioni che come noi non vedevano l'ora di partire.
La barca era ancorata sotto l'Hotel Laguna Bacalar, un posto che dalle foto pare stupendo ma, leggendo recensioni sul web poi confermate, è molto sporco. Almeno si gode di una bella vista dalla sua terrazza. Il gruppo era di sei o sette persone più il capitano. Quest'ultimo, di nome Mario, faceva anche da guida. Nonostante parlasse solo in spagnolo è stato molto gentile sforzandosi di farlo lentamente e di ripetere le cose se qualcuno perdeva qualche dettaglio. Non vi preoccupate si capisce tutto. Con lui abbiamo scoperto le meraviglie di quel luogo: dalla presenza di alcuni cerchi neri e blu nell'acqua, i cenotes subacquei come già vi anticipavo (Negro; Esmeralda; Cocalitos), alle stromatoliti, gli esseri viventi più antichi sulla terra (stratificazioni batteriche che vanno a formare quel che sembrano semplici rocce ma che invece continuano a crescere nel tempo; dall'isola degli uccelli, zona protetta, al canale dei pirati nel quale scendere per cospargersi di argilla e sentirsi rinvigoriti grazie alle sue proprietà. Volendo, seguendo determinati percorsi, si potrebbe attraversare il lago da parte a parte senza nuotare ma semplicemente camminando nella sabbia con l'acqua al ginocchio. Per chi ha paura di animali marini non c'è da preoccuparsi, la mescolanza di acque salate e dolci e la composizione del terreno non sono consoni per la crescita delle alghe così che la maggior parte dei pesci evita queste zone.
Tulum, il Tempio sul Mare
Avremmo voluto fermarci un giorno in più in questa zona per godere a pieno una delle piscine naturali più spettacolari al mondo ma spesso le cose più belle sono anche quelle che durano di meno; un momento di beatitudine che non viene sciupato nella nostra memoria. Il viaggio on the road non poteva arrestarsi e di avventure meravigliose nei giorni a seguire ne avremmo vissute ancora.
Tappa successiva Akumal, la spiaggia delle tartarughe, ma prima ci saremmo fermati lungo la strada al tempio di Tulum, l'unica piramide Maya ad affacciarsi a picco sull'oceano.

Partiti nel pomeriggio subito dopo il bagno nelle acque limpide di Bacalar, ci siamo diretti verso le rovine del complesso maya alla scoperta di un sito completamente differente da quelli visitati in precedenza. Anche qui, per mancanza di tempo e per cercare di mantenere qualche soldo nelle tasche, abbiamo fatto l'errore di non prendere una guida. Ma la verità è che Jessica aveva iniziato a sentirsi poco bene e, con il sole a picco, abbiamo preferito fare un semplice giro veloce per potercene tornare all'ombra. La zona era piacevolmente sferzata dal vento della costa ma il sole si rifrangeva nelle pareti degli edifici e nella sabbia ferendoci gli occhi. Nulla di preoccupante, semplicemente risentivamo un po’ della stanchezza derivata dai continui spostamenti ma di lì a poco ci saremmo fermati per qualche giorno riposandoci e godendo di qualche momento di relax.
Tulum significa “muraglia” ma è un nome recente in quanto originariamente la città portava il nome di Zamá, ovvero “alba”.
Scoperta nel 1517 dagli spagnoli, proprio per la sua posizione, è stata la prima città Maya incontrata dagli europei. La zona era ovviamente favorevole al commercio e la baia sottostante era perfetta per attraccare. Al giorno d’oggi, quel che negli anni ’70 era appannaggio della cultura hippie, è diventata una spiaggia turistica e affollata. Particolarità che la rende così attraente, oltre alla suggestiva presenza delle rovine, è la sabbia bianca e finissima, leggermente più granulosa di quella di Bacalar ma comunque meravigliosa nel contrasto con l’acqua blu dell’oceano. Quest’ultimo in questa zona risulta mosso con onde continue ma si parla per l’appunto di oceano Atlantico e non di mar Adriatico. Altra cosa strana ed esotica è la presenza di centinaia di lucertoloni sparsi per tutta la zona. Ce li si ritrova ai propri piedi mentre si passeggia tra gli edifici ma anche mentre si riposa in spiaggia, magari intenti a depredare briciole o rimasugli di un pranzo al sacco. Non hanno paura e, sempre che non ne abbiate voi, si può anche tentare di accarezzarli. Sconsiglio di prenderli in mano; è sicuramente un plus ai vostri stati su Facebook o alle vostre storie di Instagram ma non è mai giusto disturbare la natura più del dovuto.

Cosa dimostrata dall’attacco di un coatì nei confronti della mia telecamera (vedi foto).
Se sulle rocce le iguane sono intente a prendere il sole, all’ombra sfilano sfuggenti questi piccoli mammiferi della stessa famiglia dei procioni. All’entrata del sito ci sono quelli più curiosi e non si fanno problemi ad avvicinarsi agli zaini per sgraffignare qualcosa da mangiare. Non cercate di toccarli, specialmente se hanno cuccioli, sono abbastanza aggressivi se si sentono minacciati ma non vi faranno nulla se invece andrete per la vostra strada.
Dopo aver fatto compere nei “bazar” messicani, dove stressanti venditori, spiando la tua nazionalità, gridano in continuazione: “facciamo baratto”, nel senso di negoziare un prezzo al ribasso per rifilarti qualsiasi cianfrusaglia, siamo scappati in una zona abitata vicina per un gelato prima di ripartire finalmente verso quella che sarebbe stata la nostra base per le successive quattro notti: Villa Morena, una splendida sistemazione ecosostenibile in mezzo alla giungla, a poco più di un chilometro dalla spiaggia di Akumal e ad una ventina di minuti dalla movida di Playa del Carmen.
Akumal, tra Tartarughe Giaguari
Eh si i giaguari ci sono, come affermato dalla proprietaria italiana di Villa Morena: «E’ passato di qui ad abbeverarsi nella piscina proprio ieri notte!».
“Buono a sapersi” pensavamo, tra l’essere emozionati e l’essere intimoriti. A dire la verità nemmeno Morena ne aveva incontrato uno in tutti gli anni che aveva vissuto in Messico, lì, in mezzo al verde della giungla, dopo aver lasciato l’Italia che con la sua burocrazia aveva spezzato il sogno di aprire un B&B nella sua Toscana. I giaguari si muovono di notte e solo le guardie li intercettano. Inoltre, avendo paura dell’uomo, cercano di tenersene alla larga. Non c’era niente di cui preoccuparsi nonostante tutto.
Eravamo in un posto magnifico. Cinque o sei capanne più una palapa formavano un piccolo villaggio in cui rilassarsi e godere a pieno della natura. Nascosto a poche centinaia di metri dalla strada principale che collega tutto il litorale più turistico della penisola, il nostro alloggio era un piccolo paradiso. Niente a che vedere con quei maestosi ammassi di cemento per ricchi americani senza spirito d’avventura, ma un luogo eco-sostenibile alimentato da pannelli solari e acqua sorgiva.
Svegliarsi la mattina nella propria capanna e distendersi sull’amaca sotto il proprio porticciolo è qualcosa che va ben oltre il significato poco esaustivo di “relax". La colazione si può consumare nella palapa assieme agli altri ospiti oppure farsela portare proprio lì (ma andiamo! Non siamo poi così pigri).
Svegliarsi la mattina nella propria capanna e distendersi sull’amaca sotto il proprio porticciolo è qualcosa che va ben oltre il significato poco esaustivo di “relax”.
E dire che il primo impatto ci aveva turbati un poco, o almeno, aveva turbato Jessica che per poco non scoppiava in una crisi di nervi dopo giorni di intensi spostamenti. Il tutto per il semplice fatto che il bagno non aveva una porta ma solo un muro divisorio. A ripensarci mi viene da ridere, io che non mi faccio nessun problema ad adattarmi in ogni luogo in cui finisco (mesi di ostello mi hanno temprato e preparato a tutto), ma durante la prima notte per la mia ragazza la cosa è stata davvero un dramma. Niente di ché alla fine. Mi è bastato imparare che non appena diceva che sarebbe dovuta andare in bagno io sarei dovuto uscire dalla casa e richiudermi la porta alle spalle.
Ecco cos’è Villa Morena: qualcosa di molto simile al campeggio ma con tutti i comfort dei grandi hotel. Considerate poi che la piscina è stata scavata direttamente sulla roccia e si incastona benissimo con il resto dell’ambiente. Inoltre il cibo è buonissimo. Mangiare lì vi farà sentire a casa, mangiando cose genuine e autentiche, tant’è che ordinando in anticipo potrete provare piatti davvero tipici, come la zuppa con fiocchi di popcorn e costine di maiale bollite all’interno. Non ricordo il nome ma è davvero speciale. Inoltre, se proprio siete stanchi di tutto quel mais e volete tornare a mangiarvi un bel piatto di pasta, Morena e la sua famiglia non si sono di certo dimenticati come si cucina italiano.
Qui c’erano anche dei dolcissimi cani e gatti, tutti portati dall’Italia tranne Black, Black ve lo ritroverete ogni mattina davanti la porta pronto a salutarvi ma senza importunarvi troppo.
Insomma, se amate la natura e volete del sano e vero relax, questo è il posto giusto.
Come vi dicevo l’alloggio è a pochi chilometri da Akumal, quest’ultima raggiungibile facilmente con delle biciclette usufruibili gratuitamente, e in posizione strategica sia per tornare a Tulum, che per andare a Playa del Carmen dove vivere la movida notturna.
Come primo giorno di riposo, dopo aver dormito benissimo sotto delle copertine di lana (si, le notti umide vicino all’oceano sono freschine) ed essermi ripreso poco a poco spostandomi poco più in là nella mia dolce amaca, il programma prevedeva di fare snorkeling assieme alle tartarughe marine.
Finita una colazione fantastica a base di yogurt, frutta esotica, toast e succhi vari, abbiamo inforcato i pedali e abbiamo iniziato a pedalare verso la spiaggia. Gli ultimi anni d’ufficio mi hanno indebolito molto, devo ammetterlo, se anche cinque chilometri mi sono sembrati tanti, ma arrivare ad Akumal in bicicletta mi ha fatto sentire ancor più in vacanza. Unica difficoltà, o per meglio dire preoccupazione, è il dover fare parte del tragitto nel bordo di una delle strade più trafficate e veloci del Quintana Roo. La banchina è spaziosa, quindi un po’ di sicurezza la si ha, ma i camion sono grandi e la velocità tenuta in quella zona è superiore alla media. Stando un po’ attenti, e con un ritmo blando, per arrivare ci abbiamo impiegato poco più di un quarto d’ora.
Arrivati alla spiaggia ci si sente immediatamente in una classica località turistica di mare e si viene assaliti da tutti i promoter di attività subacquee. Da questi noleggiate pinne, mascherina e giubbottino salvagente se non li avete (quest’ultimo è obbligatorio per evitare che vi immergiate e andiate a disturbare le tartarughe mentre brucano il fondale) e correte verso il bagnasciuga per toglierveli di torno. Non accettate i pacchetti comprensivi di guida, non hanno senso. E’ vero che per spulciare qualche soldo in più dalle tasche dei turisti hanno recintato le ampie zone d’acqua nelle quali è più frequente incontrare le tartarughe, ma è anche vero che, senza pagare un peso, si può benissimo trovarsele vicine dopo qualche minuto nelle aree libere.

La spiaggia è percorsa per intero da chioschi e hotel ma, pur avendo sete e desiderio di un bel cocktail ghiacciato, non ci siamo fidati ad avvicinarci. Il tutto per il semplice fatto che, vicino ad ogni zona nel quale erano presenti lettini ed ombrelloni, c’era sempre la presenza ingombrante di qualche guardia con fare brusco e con lo sguardo di chi dice: “Ti vedo! Attento a quel che fai.”
Purtroppo, o per fortuna, in Messico i guardiani sono molto economici, accettano il minimo sindacale e lavorano per molte ore al giorno. Questo permette a quasi tutti i negozi e hotel del litorale di avere molto personale da distribuire per controllare ogni angolo. Una cosa positiva direte voi, eppure non ispiravano molta fiducia.
Meglio spendere pochi pesos prendendo qualcosa nel vicino supermercato e rilassarsi sotto il sole tropicale poltrendo nel proprio asciugamano fino a sera.
Nonostante questo Akumal è un luogo da visitare, sia per le tartarughe che qui avrete la certezza di vedere da vicino, ma anche per la sabbia fine e gialla con la classica palma da cartolina che vi cresce sopra.

Playa del Carmen
Il giorno in spiaggia era terminato e ci siamo rilassati per il resto della serata nel nostro alloggio, sfruttando il wifi un po’ instabile (unica pecca di Villa Morena) per condividere foto e video vantandocene con gli amici. Il programma del giorno seguente non entusiasmava molto la mia ragazza, infatti volevo fare quel che desideravo da molto tempo: starmene disteso su un lettino e perdere un giorno interno per guadagnarci in salute fisica e mentale. Ovviamente lasciarsi andare su un gonfiabile a forma di unicorno, galleggiando sull’acqua di una splendida piscina, non poteva coprire tutte le ore che andavano dall’alba al tramonto, cosicché ho deciso di accontentare Jessica e di partire nel pomeriggio per Playa del Carmen dove avremmo fatto serata. La sfortuna però ha voluto che al nostro arrivo (ci vogliono solo 20 minuti in realtà) siamo stati accolti e sorpresi da una burrasca. Acqua e vento hanno sferzato le strade per più di un’ora costringendoci a rifugiarsi nel peggior KFC del mondo. Ebbene sì, dopo giorni di cibo ben cucinato avevo voglia del poco salutare pollo fritto americano. Il problema è che il KFC di Playa è terribile, non tanto per il cibo perché nell’olio copri e nascondi qualsiasi odore o difetto, ma era proprio sporco. Immaginavo i topi in cucina.
Scappati con almeno cinque polli nella coscienza (avevamo mangiato comunque tanto) ci siamo azzardati a percorrere la via centrale che attraversa tutto la località di mare sperando non tornasse a piovere. Per fortuna ciò non avvenne benché il fresco avesse intimorito diversi venditori che avevano già chiuso il proprio negozio.
Com’è Playa del Carmen? Non potendone giudicare le spiagge vi dico solo che per me era come stare a Jesolo o Riccione. Nulla di più o nulla di meno. Carino perché ci si trova un po’ di tutto, ci si sente un po’ più vicini a casa, ma si perde tutta l’autenticità del Messico. Le vie sono costeggiate da negozi di abbigliamento o gelaterie e bar. Persino una birreria in stile irlandese (qui ci siamo fermati provando qualche birra importata leggermente più corposa della classica Corona). Il gelato che trovate in zona è costoso e poco saporito ma accettabile se volete fare un break sedendovi ad uno dei tavolini per dare uno sguardo alla gente che passa.
Com’è Playa del Carmen? Per me era come stare a Jesolo o Riccione. Carino perché ci si trova un po’ di tutto ma si perde tutta l’autenticità del Messico.
So che vi deluderò; speravate che vi raccontassi un po’ della vita notturna del Quintana Roo ma con il ritmo vitale che avevamo preso, svegliandoci alle 6 ogni mattina e vedendo tramontare il sole attorno alle 18 ogni sera, avevamo poca voglia di ballare o far casino.
Sono sicuro però che, se viaggerete in gruppo con amici e non in coppia, qualche serata di divertimento qui non ve la farete mancare.
Biosfera di Sian Ka'an
Quel che doveva essere un soggiorno di tre notti si è prolungato di una ulteriore giornata perché abbiamo preso la decisione di fare un tour guidato all’interno della biosfera di Sian Ka’an, che, dato che ci avrebbe portato via tutto il giorno, ci avrebbe sfinito impedendoci di ripartire subito alla volta di Cancun dove avremmo chiuso il tracciato programmato e quindi il nostro viaggio. Sorvolando il prezzo che all’apparenza potrebbe sembrare eccessivo (non lo è) di poco più di 100 euro a testa, pagando direttamente alla reception di Villa Morena, il tour merita in tutto e per tutto. Fare la strada che porta a Punta Allen, l’estremità meridionale della piccola penisola a sud di Tulum, con la propria auto è un grosso rischio. La strada è sterrata e disseminata di grosse buche. Non è assurdo pensare di lasciarci giù l’asse o forare qualche gomma. Se deciderete di fare questo tragitto capirete di cosa sto parlando, specialmente dopo esservi fatti due ore e mezza sobbalzando di continuo come se ci fosse il terremoto. Ecco perché non mi pento della scelta fatta: un furgoncino ci è venuto a prendere direttamente alla palapa, ha raccolto lungo la strada altri turisti (altre due coppie italiane, una asiatica e una composta da madre e figlia americane) permettendoci di vedere gli hotel della concorrenza, si, quelli iper lussuosi dove pare di essere in California e non nel Centro America, ed infine siamo partiti alla volta della riserva naturale. Oltre al viaggio il pacchetto comprendeva un pranzo a buffet e un giro in barca alla scoperta della fauna volatile e marina locale.
La guida questa volta era italiana: una ragazza che si era innamorata del luogo e che da anni, ogni singolo giorno, percorre tutto il tragitto per accompagnare frotte di turisti nelle acque turchesi dello Yucatan. Non so come faccia a ripetere le stesse cose di continuo, ma è indubbio che nuotare tra quelle meraviglie da un senso alla propria vita e a quel che si fa.

Ma cosa si può vedere di così unico a Sian Ka’an? Mentre vi addentrerete nella giungla spererete di vedere sbucare fuori un giaguaro ma, aihmé, sono animali che si muovono prevalentemente nell’ombra ed è raro incrociarli. Quel che invece sicuramente incontrerete sono gli animali acquatici come i delfini, le tartarughe marine, vari pesci, alcuni variopinti (noi ci siamo imbattuti anche in un pesce palla) e volatili come aquile di mare, cormorani, aironi, fregate e le rare spatole rosa, con il loro caratteristico colore sgargiante e becco a forma, appunto, di spatola, con cui in passato venivano creati cucchiai. Oltre a queste specie, se avrete più fortuna di noi, nei pressi del vecchio ponte di legno a metà del tragitto, potrete avvistare anche qualche coccodrillo.
Il viaggio in barca è molto piacevole dato che l’aria fresca vi sferzerà il viso. La lancia, così viene definita quel tipo di imbarcazione, è molto leggera e veloce e per questo motivo deve essere guidata da due marinai: uno al timone ed uno a prua per stabilizzarla spostando il proprio peso. Dopo essere andati a caccia di un gruppo di delfini ci siamo spostati sopra la seconda barriera corallina più estesa al mondo. La guida ci ha spiegato essere anche la più viva e in salute, nonostante appaia grigia con colori tenui e smorti. Per chi è stato nel Mar Rosso c’è il grosso rischio di rimanere delusi, data l’assenza dei colori sgargianti che ci si potrebbe aspettare, ma il rispetto che gli abitanti del posto hanno per i loro beni naturali ha finora preservato la fauna marina più di molti altri luoghi del globo.

La giornata ha quindi un senso. Ci si accultura non solo scoprendo antiche rovine di civiltà perdute, ma anche ciò che non è stato creato dall’uomo. Vedere planare questi grossi uccelli esotici o l’ondeggiare delle pinne di alcuni delfini, o ancora nuotare con specie marine che abbiamo potuto vedere solo in qualche documentario in tv, riempie di gioia e serenità. Non importa la fatica del viaggio, non importano le buche e le vibrazioni che fanno venire il mal di mare stando a terra, importa solo che a fine giornata, calato il sole, tutto ciò che ci è rimasto è stata una sensazione di gioia e benessere.
Sian Ka’an è una meta obbligatoria per chi vuole davvero vivere il Messico tropicale e mettere le ali alle proprie emozioni. C’è un motivo se, in lingua maya, il nome significa proprio “Porta del Cielo”.

Sian Ka’an è una meta obbligatoria per chi vuole davvero vivere il Messico tropicale e mettere le ali alle proprie emozioni. C’è un motivo se, in lingua maya, il nome significa proprio “Porta del Cielo”.
Ritorno a Cancún, la zona Hotelera
Il viaggio stava per giungere al termine. Salutata Villa Morena, salutati i proprietari, Black e gli altri cani che ci venivano sempre a chiedere le coccole alle porte della nostra capanna, siamo ripartiti, questa volta verso qualcosa che già in parte conoscevamo.
Di Cancún avevamo visto poco ma sapevamo che ci saremo ritrovati in un luogo culturalmente distante da quello che avevamo invece scoperto addentrandoci nell'entroterra della penisola. Per l'ultima giornata piena nel Nuovo Mondo abbiamo deciso quindi di visitare anche quello che era nato secondo i crismi americani: la zona hotelera e Playa Delfines primi fra tutti.

La zona hotelera sorge in una striscia di terra a forma di sette nella quale sono stati eretti edifici faraonici. Spicca fra tutti l’hotel Iberostar, ma solo per la mole dato che anche tutti gli altri sono all’insegna del lusso, e lo si vede a delimitare una delle spiagge più belle della riviera, ovvero proprio Playa Delfines.
Prima di arrivarci ci siamo fermati però in un classico centro commerciale. L’idea era di trovare qualche calamita o qualche regalino da portare agli amici, ma come vi dicevo in precedenza non c’era nulla di veramente bello che valesse la pena comprare (le calamite più belle le avevo viste a Chichen Itza). Fortunatamente nei negozietti all’accesso della zona hotelera le cose erano diverse. Qui mi sono regalato un classico sombrero, non uno di quelli fastosi per turisti, ma uno semplice in paglia. Non so come avrei fatto a metterlo in valigia dato che non si poteva piegare molto ed era grandino, ma dovevo averlo, dovevo portarlo con me per appenderlo su una parete di casa, come trofeo che dimostrasse dove ero stato ma anche come finestra sui ricordi per il futuro.
Siamo quindi arrivati alla spiaggia solo verso sera per ammirare un tramonto spettacolare che mescolava mille sfumature diverse tra cielo e mare, dal rosso al turchese, sospendendo il nostro pensiero in un’emotiva incredulità. Il rumore delle onde suonava, non rumoreggiava, creando una melodia che faceva da sfondo alla catartica visione di quell’immenso oceano. Inondando i nostri occhi, come un’onda cancella le orme nella sabbia appena calpestata, si era portato via ogni pensiero, ogni male interiore, ogni preoccupazione. La malinconia che sentivamo segnava la fine di un’avventura che era partita con l’intento di cercare qualcosa di nuovo e che invece ci aveva portato via qualcosa di noi. Un pezzo di cuore rimarrà sempre qui, a naufragar nel mar dei Caraibi, testimone di giorni indelebili in un luogo esotico ed esoterico, magico a tal punto da credere che siano davvero qui le porte del cielo.
La malinconia che sentivamo segnava la fine di un’avventura che era partita con l’intento di cercare qualcosa di nuovo e che invece ci aveva portato via qualcosa di noi. Un pezzo di cuore rimarrà sempre qui, a naufragar nel mar dei Caraibi, testimone di giorni indelebili in un luogo esotico ed esoterico, magico a tal punto da credere che siano davvero qui le porte del cielo.
Ritorno a Casa
L’ultima notte l’abbiamo passata in una stanza di una amica del proprietario dell’Bed and Breakfast Eclipse, quello della prima notte, che ci aveva lasciato il numero se necessitavamo di un posto dove dormire prima della nostra ripartenza. Non ricordo il nome, proprio perché consigliatoci all’ultimo non me l’ero segnato, ma era una camera ben arredata sebbene senza pretese. Mi ha stupito comunque la gentilezza del ragazzo che gestiva il via vai dei turisti, curioso riguardo alla nostra storia e sempre pronto ad offrici qualcosa in più per colazione.
Salutato ci siamo diretti verso l’aeroporto e, facendo il percorso a ritroso, abbiamo riconsegnato la vettura (dato che avevamo fatto l’assicurazione ci hanno lasciato andare immediatamente senza nemmeno controllare l’auto) e siamo finiti ad aspettare l’aereo mangiando in un ristorante della catena Bubba Gump Shrimp, si, proprio quello che nel film veniva fondato da Forrest. A dirla tutta è costoso, ma quanto è bello poter mangiare gamberi in tutte le salse. Il gambero è un frutto del mare: te lo puoi fare sia arrosto, bollito, grigliato, al forno, saltato. C'è lo spiedino di gamberi, gamberi con cipolle, zuppa di gamberi, gamberi fritti in padella, con la pastella, a bagnomaria, gamberi con le patate, gamberi al limone, gamberi strapazzati, gamberi al pepe, minestra di gamberi, stufato di gamberi, gamberi all'insalata, gamberi e patatine, polpette di gamberi, tramezzini coi gamberi... e questo è tutto mi pare. Beh avrete capito che ho amato tanto quella pellicola e che avevo voglia di gamberi.


CUN 14:35 – EWR 18:20 EWR 19:45 – FRA 09:15 +1 giorno FRA 11:40 – VCE 12:55 Durata 16h 20m
Il volo di ritorno è stato un po' più avventuroso di quanto ci aspettassimo. Sebbene secondo Expedia ci sarebbero volute più di 16 ore a percorrere tutto il tragitto (compreso scali) che ci separava da casa, qualcosa deve essere sfuggito. Lo scalo a Newark, negli Stati Uniti (ricordatevi che se farete scalo qui siete obbligati a fare l'ESTA, un sistema elettronico per l'autorizzazione al viaggio, anche se non uscirete dall'aeroporto. Costa poco ma va assolutamente fatto online prima di partire), è stato una corsa contro il tempo. L'aereo per Francoforte è partito con un'ora d'anticipo. Fortunatamente gli americani, per quanto altezzosi, sono anche gentili e disponibili. Ci hanno fatto passare davanti a tutti e volando sulle nostre gambe siamo riusciti ad imbarcarci.
Nonostante tutto, con un aereo che ha recuperato altro tempo in volo, abbiamo avuto un altro piccolo imprevisto. Sbarcati in Europa sotto una tempesta di neve, ma protetto dal mio fantastico sombrero, una coltre bianca ha coperto le ali del nostro ultimo mezzo di trasporto e l'ora guadagnata è stata spesa per liberare il velivolo dal ghiaccio.
Dall'estate all'inverno in mezza giornata.
Ebbene eccoci alla fine, dopo interminabili pagine che forse avranno annoiato, forse spoilerato troppo, forse non sarete nemmeno giunti a questo punto del racconto per leggere le ultime battute su quel che ho vissuto. O forse qualcosa vi sono riuscito a dare, forse ho smosso qualcosa in voi e vi ho convinto a vivere una vostra avventura. In fin dei conti io non ho visto tutto di quel che la penisola dello Yucatan ha da offrire. Ci sono parchi che ho dovuto saltare, altre biosfere, lagune con l’acqua rosata che avrei voluto vedere da morire, ma anche cenotes a non finire, dato che li ho amati alla follia, come i famosi Dos Ojos; oppure nuotare nelle acque al largo dell’isola di Holbox assieme agli squali balena, i quali però migrano durante l’inverno mentre d’estate questo posto risulta uno dei pochi luoghi al mondo dove vederli da vicino; o ancora: prendere il traghetto verso Isla Mujeres e visitare il Museo Sub-acquatico Musa, dove 500 statue vi aspettano in fondo al fondale per accompagnarvi in una dimensione artistica del tutto nuova.
Ci sono mille cose da scoprire qui e nel mondo e lo spirito avventuriero può portarvi ovunque: a riempirvi di nuove nozioni ed emozioni e spingervi a raccontare a tutti, un po’ come sto facendo io, le vostre bellissime esperienze. Spero che abbiate passato piacevoli momenti in mia compagnia ma spero anche, un giorno, di poter leggere qualcosa di vostro su questi stessi luoghi e capire cosa potrò ritrovarvi quando vi ci tornerò.
Grazie a tutti.
Seguitemi qui e sui social se volete vivere con me una nuova avventura.
Io non vedo l’ora di partire nuovamente, e voi?
Tom Garland
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