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Overwatch World Cup 2018 - Parigi

  • Immagine del redattore: Tom Garland
    Tom Garland
  • 18 set 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

Parte 1


Benché abbia fatto diversi viaggi nella mia vita che voglio e devo raccontare in queste pagine, questa volta svio di già dalla tipologia di post che mi ero imposto di fare per raccontare un’esperienza diversa, un po’ di nicchia, che sto facendo in questi ultimi giorni di fine Settembre (precisamente il 21, 22, 23 Settembre 2018).

Il post in questione differisce perché non sarà una guida di un luogo ma più un resoconto giornalistico di quello che vivrò qui a Parigi, precisamente per il mondiale di Overwatch, per i profani un videogioco che da tre anni a questa parte sta stravolgendo e riscrivendo la storia dell’e-sport competitivo.

Si lo so; per molti può sembrare stupido ma per molti altri, compreso me, giocare ai videogame non è solo un passatempo ma anche un evento in tutto e per tutto, sia per migliorare il gioco di squadra, i propri sensi e i propri riflessi mettendosi alla prova contro altre persone, sia per conoscere gente nuova e fare nuove amicizie, oltre che trovarsi ogni sera a parlare del più e del meno con quelli con cui si è già creato un legame.


Le persone estranee a questo mondo vedono il stare di fronte ad uno schermo qualcosa di alienante che fonde il cervello, eppure al giorno d’oggi i giochi si sono fatti più studiati, intelligenti ed intriganti di come i nostri genitori pensino che siano. Ricordo ancora quando mio padre mi sgridava perché stavo troppo al telefono mentre ora lo vedo con lo smartphone a mostrare agli amici le foto del nipotino o guardare qualche video non curante di tutto il resto. Semplicemente ha fatto propria una tecnologia che prima snobbava e additava come il male assoluto e ora ne trae i benefici. Ecco, basta solo conoscere le cose per giudicarle nel modo più appropriato. Se un tempo esisteva il vecchietto che andava a giocare a carte al bar, noi diventeremo degli anziani videogiocatori trovando probabilmente nuove scuse per criticare i giovani.

Mi muoverete l’accusa del fatto che così si perde la componente umana e fisica di stare con la gente, eppure i pregi sono diversi ma in contempo da tenere in considerazione. Come appena detto ora si ha la possibilità di parlare con persone accomunate dalla stessa passione premendo un solo pulsante. Basta pigiare su on e in un attimo si è a contatto con altri ragazzi ed altre culture. Si fa conoscenza addirittura con persone straniere migliorando il proprio inglese. Sia chiaro: io non sono uno di quei nerd che se ne sta perennemente a casa, ma in fondo li capisco.

Una seconda accusa che spesso viene mossa nei confronti dei videogiocatori è l’essere assuefatti dalla violenza. La risposta è semplice: noi viviamo in un epoca di pace, almeno nella maggior parte dei Paesi del mondo, mentre voi avete fatto la guerra; noi giochiamo delle battaglie mentre voi le avete combattute. Chi ha sparato davvero? Quello con il fucile o quello con il Joypad? Ecco, il mio esempio è un po’ estremo, ma è un primo colpo basso per far tacere chi parla senza conoscere il medium con cui noi ci rapportiamo. Altro esempio che mi viene in mente è quando pochi anni fa gli alpini denunciarono una casa di produzione di videogiochi perché, a detta loro, rappresentare la battaglia del Monte Grappa disonorava i propri compatrioti. Niente di più falso. Prima di tutto quanti film hanno mostrato per immagini la violenza della guerra e la tristezza della morte? Ma perché vengono fatte queste pellicole se la violenza non dovrebbe essere mostrata? Semplicemente perché la visione è catartica, ci libera dalle nostre paure o dai nostri sentimenti più profondi ed estremi (come gli intenti delle antiche tragedie greche), ma ancor più vogliono far insorgere ed evocare sentimenti profondi nei nostri cuori. Cosa cambia nei videogiochi? Che il vivere la guerra in una realtà virtuale possa influenzarci e farci provare gioia alla vista di un nemico esangue? Beh in parte! Ma allo stesso modo di quando Rambo fa fuori un cattivo. Ciò che fa un videogioco, sto parlando ancora di quelli che si focalizzano sulle battaglie, è immergerci ancor più in quel mondo aumentando la nostra immedesimazione ma anche aumentando i sentimenti che genera in noi un film con le stesse tematiche. E questa cosa non deve essere per forza un male dato che in un videogame troviamo momenti così profondi e terribili che ci segnano nel profondo più di un finale commuovente alla Schinder’s List (dico questo pensando alla scena di Metal Gear Solid 3, per intenditori, in cui il protagonista punta il fucile contro il suo maestro. Momenti interminabili che non ci facevano premere il grilletto per minuti pur essendo consci che in questo modo la storia non sarebbe potuta proseguire).

I media calcano sempre troppo la mano facendo credere al mondo che il passatempo dei ragazzi di oggi li porti alla follia. E’ di poche settimane fa la notizia del videogiocatore assassino che ha sparato ad altri concorrenti ad un torneo solo, secondo i giornali, perché sconfitto poco prima perdendo la possibilità di agguantare il titolo di campione. Ma di che si trattava in realtà? Di un videogioco sportivo, non di guerra; e sembra poi che non c’entrasse nulla il fatto che fosse stato battuto. Se uno è pazzo è pazzo, indipendentemente da cosa stia giocando o da cosa sia stato influenzato.


Ho fatto questo preambolo per difendere uno dei miei mondi, una delle mie passioni, una di quelle cose che per molti è assurda e in antitesi con la mentalità del viaggiatore (chiuso dentro casa invece di vivere il mondo), ma che invece mi ha fatto conoscere molti dei miei attuali amici e portato distante: a fiere come quella di Lucca e fino a qui, a Parigi.

La destinazione è una delle più classiche in Europa e questa città è una città meravigliosa. Io ci sono già stato in passato e ho avuto modo di viverla da normale turista (magari di questo ve ne parlerò in futuro) ma ora sono qui per dirigermi verso quello che sarà il tempio dell’e-sport mondiale per i prossimi tre giorni.

Benché sembri in antitesi con la mentalità del viaggiatore (chiuso dentro casa invece di vivere il mondo), la passione dei videogame può unire, far conoscere persone e nuovi amici, e portare distante come in questo caso: a Parigi.


Cos'è Overwatch?


Overwatch è uno sparatutto, si combatte e ci si “uccide”, ma è anche un gioco di strategia in cui senza lo spirito di squadra ed una buona intesa con i compagni non si va da nessuna parte. Inoltre è meno violento di come potrebbe apparire a qualche associazione di mamme preoccupate per i propri figli. Ogni sconfitta è mascherata, non c’è sangue, ed è quindi un gioco per tutti che attira facilmente le masse. Non sto a dire quanto sia diventato importante il movimento degli e-sport negli ultimi anni, basti citare solo gli 800.000 utenti che hanno guardato la finale della lega o la tassa di iscrizione di un team che arriva a toccare i 30 milioni di dollari quest’anno. Numeri da capogiro che descrivono bene il livello organizzativo di questo evento. Non è un mondiale per poveri, non un ripiego per i frustrati dopo la mancata qualificazione al mondiale di calcio del nostro team, ma qualcosa che scenograficamente e strutturalmente è da considerarsi a tutti gli effetti un evento importante per la community e non solo.

Ecco dunque il motivo per il quale sto intraprendendo questo rapido viaggio: per gioire e tifare la mia nazionale; per trovarmi con persone con cui condivido le stesse passioni; per vivere e raccontare una tipologia di viaggio che non viene mai raccontata, quella del tifoso.


Continua…

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